Sfigati nell’Ideologia del Profitto

Qualche anno fa, ero docente di Italiano e Storia in una in una ricca città della zona industriale nel Nord Italia.

Ho sempre amato il mio lavoro, chi mi conosce lo sa bene. E ho sempre avuto un buon rapporto con i miei studenti, che, bonariamente, spesso si chiedevano e mi chiedevano perché avessi scelto la professione di docente, notoriamente poco retribuita e, quindi, da “sfigati”, visto che, secondo loro, avrei potuto optare per un lavoro che mi desse più soddisfazioni economiche. Chissà se hanno mai sospettato che le loro affermazioni mi servivano per fare una diagnosi del loro stato per essere, poi, in condizione di incontrarli e ascoltarli meglio. Capivano, comunque, alla fine, che amavo il mio lavoro e, inizialmente sorpresa delle loro convinzioni effimere, ho visto nel tempo diversi di loro scegliere la docenza per il loro futuro lavorativo, convinti, alla fine, delle innumerevoli opportunità umane e di crescita interiore che offriva.

Un giorno durante un’escursione di diverse classi della Scuola Superiore dove insegnavo, avvenne un fatto decisamente imbarazzante: la scomparsa di un accessorio firmato molto ambito dai ragazzi, maschi e femmine. Fu un’impresa trovare il colpevole, ma, alla fine, gli indizi portavano ad un’unica persona, un’alunna che, presa alle strette, confessò, per niente pentita, solamente contrariata di essere stata scoperta. La motivazione?

Non volevo apparire ‘sfigata’, tutti i miei compagni hanno quell’oggetto, non volevo far sapere che io non ho i soldi per acquistarlo. Credo anch’io che chi non possiede danaro per comprarsi gli oggetti alla moda che hanno tutti gli amici sia uno ‘sfigato’. E io non volevo esserlo, anche a costo di rubare”.

Così affermò convinta.

Noi insegnanti avevamo un bel lavoro educativo da realizzare!

Ma era appagante, alla fine dell’anno scolastico assaporare il nuovo clima di consapevolezza, di condivisione, di solidarietà che si creava tra i ragazzi.

Di recente è ricomparso il termine ‘sfigato’, nel Web, anche se non sempre esplicitato con questo termine, sia prima che dopo la pandemia, recente e attuale.

Solo che le persone coinvolte non sono ragazzi, in crescita e educabili, no! Sono persone mature e acculturate, addirittura ‘Scrittori di case editrici famose’, come si definiscono.

Leggo post di tanto in tanto ma abbastanza per capire l’aria che gira tra pseudo intellettuali di ambo i sessi che “…Per essere scrittori bisogna pubblicare con un editore vero, famoso e guadagnare, altrimenti non si è uno scrittore o scrittrice”.

Solitamente sono persone che, dopo aver fatto una lunga trafila di ‘precariato di scrittura’ approdano, alla fine, a pubblicare con un editore conosciuto e, allora, udite udite, dimentichi del loro vissuto e del fatto che anche loro come tanti da lì a poco, se il pubblico di lettori non li sceglierà perché li riconosce validi, passeranno nel dimenticatoio, casa editrice importante o no. Ho avuto modo e tempo per capire che all’interno di una casa editrice ‘importante’ si pubblicano autori diversi e con diverse modalità, perché anche le case editrici ‘importanti’ devono sopravvivere!

Qualche tempo fa mi fu proposto un appuntamento con il responsabile editoriale di una conosciutissima casa editrice. Pare avesse letto le mie fiabe ed era interessato. L’appuntamento era a Roma.

Non ero convinta, non mi recai a nessun appuntamento. Inviai, però, il materiale richiesto.

Ebbi una risposta generica, ma dopo qualche giorno lessi in internet, casualmente di uno scandalo che riguardava proprio quella casa editrice ‘importante’: diversi autori venivano invitati in sede, gli si chiedeva loro la somma iniziale di euro 4.000 e li si informava che la casa editrice non si interessava alla distribuzione che era a carico dell’autore. E altro. Le notizie sono ancora online e tutti possono leggere.

Una casa editrice importante…

Vogliamo continuare con altri esempi? No, non è il caso di infierire oltre in un momento così particolare.

Perché di esempi ce ne sarebbero tanti altri…E non dignitosi certamente.

Quindi uno scrittore non è tale se non guadagna molto…l’affermazione è di uno autore a me sconosciuto che così scrive: ”Ho pubblicato con…Io posso dire che sono uno scrittore…io ho avuto una acconto con la firma del contratto …quindi guadagnerò, perché io sono uno scrittore”.

Intanto il primo pensiero che mi è venuto in mente nel mondo della letteratura contemporanea in Italia, è stato per Elena Ferrante, scrittrice napoletana, inserita dal Time nel 2016 tra le 100 persone più influenti al mondo. Inizialmente la sua casa editrice non era certo tra quelli che i nostri ‘pseudo intellettuali’ giudicano ‘importanti’.

Ma ha saputo mirare in alto.

Attualmente, speriamo sopravvivano alla pandemia di Coronavirus, l’Italia è piena di piccoli editori di valori ed è grazie a loro e alle loro scelte coraggiose che certamente non li arricchiscono che la cultura ha la sua voce indipendente.

Ma volgiamo uno sguardo al passato, è più facile fare nomi ed esempi senza incorrere in smentite.

Proverò a ricordare qualche nome illustre che, con la logica degli ‘sfigati nel tempo dell’ideologia del profitto, non furono scrittori perché non guadagnavano.

Qualche nome: Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi. Qualcuno si azzarderebbe ad affermare che non furono scrittori, perché non guadagnavano con le loro opere?

E, varcando i confini dell’Italia, voglio ricordare Edgar Allan Poe, considerato un genio e inventore del racconto poliziesco e dell’horror, ma non guadagnava!

Allora non era uno scrittore? Qualcuno può affermarlo senza attirarsi l’ira degli esperti estimatori di letteratura?

Per la poesia voglio ricordare la nostra Ada Merini, morta povera, ma oggi molto considerata e amata, Valentino Zeichen, poeta contemporaneo tra i più apprezzati, che alla fine, fece della povertà un vero e proprio stile di vita.

E tanti e tanti altri…

Certo è auspicabile che uno scrittore, un poeta, un artista in tutti i campi guadagnino dignitosamente per quello che creano ma nessuno pseudo intellettuale di dubbia formazione, perché se così non fosse non esternerebbe tali affermazioni che rivelano ignoranza, presunzione, arrivismo becero, non sana ambizione di migliorare ed affermarsi, può arrogarsi il diritto di affermare che un intellettuale che non guadagna non è uno scrittore, anzi è uno ‘sfigato’, in una società intenta a mercificare tutto, dove l’uomo è stato privato di ogni carattere sociale e umano.

Perché verrà il tempo…

Nella speranza che l’umanità non paghi un prezzo troppo alto.

Nel rispetto della creatività.

Tanto alla fine, per fortuna, saranno i lettori a scegliere tra le innumerevoli proposte e la grossa editoria non è più da tempo garanzia di qualità, non sempre, questo è sotto gli occhi di tutti.

Condividi i contenuti
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

Caterina Condoluci

Caterina Condoluci vive da oltre trent’anni nel Veneto, dove ha esercitato per lungo tempo la professione di docente di italiano e storia. Appassionata d’arte e di letteratura, attualmente si dedica alla scrittura come testimonianza di vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *