La tutela della donna attraverso misure concrete

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L’avvocata Zeila Gola espone, durante un incontro dal titolo  Proposte ed esempi concreti per una parità sociale dei sessi, da me coordinato per l’8 marzo 2015 alla Libreria Lovat , il tema Individuazione delle misure concrete che garantiscono la parità uomo-donna e, conseguentemente, la piena realizzazione dei valori familiari e sociali garantiti dalla nostra Costituzione, che ritengo ancora attuale. Questa la sintesi che mi è stata gentilmente consegnata dall’avvocata Zeila Gola.

                          La tutela della donna attraverso misure concrete

 

Quando mi è stato chiesto di apportare un contributo personale in un dibattito avente ad oggetto il ruolo della donna oggi, nella nostra quotidianità storico-geografica (Italia 2015), non ho avuto esitazioni in merito al “taglio” che avrei desiderato dare al mio intervento ed alle tematiche che avrei voluto sottoporre ai miei interlocutori: la questione che vorrei sottoporre ai presenti (e sulla quale mi piacerebbe avere un vero e proprio “contraddittorio”…) è infatti quella della individuazione delle misure concrete che garantiscono la parità uomo-donna e conseguentemente, la piena realizzazione dei valori familiari e sociali garantiti dalla nostra Costituzione.

Perché parlo di “misure concrete”, a tutela della parità, e non semplicemente di “regole”?

Perché, in verità, nel nostro ordinamento le norme di principio esistono già!

Fortunatamente, il nostro sistema legislativo contempla moltissime disposizioni volte a parificare le posizioni soggettive di uomini e donne ed a garantire eguali diritti ai componenti di ambo i sessi (Per inciso il concetto di parità, sempre per restare nell’ambito delle differenze sessuali, si è esteso negli ultimi anni ben al di là della mera distinzione tra “uomo” e “donna”, garantendo primarie tutele anche a gay e transessuali…).

Sotto il profilo normativo, pertanto, non si può che essere tutti concordi in merito al fatto che le nostre leggi sono improntate ad un indiscutibile principio di uguaglianza.

Fino a qualche decennio fa, in Italia ancora erano in vigore delle norme contenenti delle evidenti, plateali, discriminazioni, spesso fondate su distinzioni di sesso (una tra tutte, la norma che garantiva uno sconto di pena all’uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella “disonorevoli”, il c.d. “delitto d’onore” che è al centro del celebre film Divorzio all’italiana ([1])…). Anni di battaglie femministe, di rivendicazioni sindacali, di modifiche parlamentari e di interventi giurisprudenziali hanno però fatto sì che tali norme, retaggio di uno Stato monarchico prima e fascista poi, scomparissero del tutto dall’ordinamento.

Fin dai primi studi di diritto che ho intrapreso (parliamo quindi delle scuole elementari, durante la vecchia “educazione civica” ([2])…), sono rimasta colpita dalla bellezza del nostro sistema giuridico.

Sì, parlo proprio di bellezza ed uso quindi un termine che usualmente viene utilizzato per descrivere un quadro o una statua, mai una norma, proprio perché, a mio parere, le nostre leggi sono davvero belle: così precise, così nobili nella volontà di ricercare un equilibrio che tenga conto delle diverse e spesso contrapposte esigenze, così tenaci nel perseguire un alto obiettivo di giustizia.

Un esempio tra milioni? Mi viene in mente il nostro art. 36 della Costituzione ([3]), il quale precisa che ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione: la norma non si limita ad un’affermazione generica di questo tipo, ma specifica dapprima che il compenso deve essere parametrato alla quantità e qualità del lavoro svolto (circostanza piuttosto ovvia), per poi precisare – e qui sta la vera poesia! – che la retribuzione non basta che sia quantitativamente e qualitativamente adeguata, ma deve anche essere “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Ecco, questa è quella che io chiamo “la bellezza delle nostre leggi”, ed è rappresentata proprio dal fatto che il nostro Legislatore non si accontenta di introdurre regole approssimativamente corrette, ma ricerca nei suoi testi una situazione di Perfetta Giustizia.

Mi sembra quindi che possiamo e dobbiamo essere fieri delle nostre norme, le quali (a parte rare eccezioni …) non si limitano a dettare delle regole approssimativamente corrette, ma cercano di dare attuazione ai più alti Ideali.

Quella che ho appena fatto può sembrare una digressione rispetto al tema del quale oggi si discute, ma non è affatto così.

Questa premessa è infatti necessaria per comprendere la necessità di distinguere la norma, come regola teorica, dalle misure concrete necessarie per dare attuazione a tale regola: il solo fatto che il nostro sistema giuridico sia costituito da ottime norme, non significa affatto che siano state poste in essere anche le misure concrete necessarie a dare attuazione alle regole!

… E,infatti, è proprio questa la “pecca” del nostro sistema, il quale predispone ottime regole ma poi “si dimentica” di soffermarsi sulle misure concrete che rendono possibile l’attuazione di quelle regole!

Come tutti sappiamo il nostro art. 3 della Costituzione è composto di due parti. Una prima parte afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, e questa è quella che viene definita “Uguaglianza formale”. La seconda parte precisa poi che “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”: ecco quindi che si arriva al concetto di Uguaglianza Sostanziale.

Ma cos’è l’uguaglianza sostanziale? Detto in termini assai semplicistici, il nostro Stato non si deve accontentare di dettare regole giuste in linea astratta, “sulla carta”, ma deve attivarsi per far sì che quelle regole giuste si traducano in “situazioni di fatto” giuste. La Giustizia astratta deve sempre essere calata nella realtà concreta, altrimenti che Giustizia è? ([4])

Ecco, quando si parla di parità sociale uomo-donna nella realtà odierna, spesso si rischia di confondere il piano teorico da quello concreto. Premesso che la parità è garantita sul piano normativo, possiamo dire lo stesso anche sotto il profilo concreto?

 

Alcuni esempi in tal senso.

Come noto il diritto allo studio è garantito ugualmente a uomini e donne. Ma si può dire che ci sia una parità concreta in Italia per quanto riguarda, ad esempio, l’istruzione universitaria?

Non mi sento di affermare che esiste una parità concreta, ed in tal senso penso alle giovani mamme che hanno avuto (o che vorrebbero avere) una gravidanza prima di completare il ciclo di studi universitari: che misure concrete, a livello statale, sono attuate in loro favore per permettere un proficuo completamento degli studi?

Al di là di eventuali agevolazioni sotto forma di esenzioni reddituali, non mi sembra che in Italia si sia mai pensato di realizzare altri strumenti di grande utilità pratica. Un esempio tra tutti? La c.d. “nursery universitaria”.

Oggi molti enti, pubblici e privati, offrono un servizio di asilo nido “interno”, cioè fruibile solo dai dipendenti o dai clienti, compatibile con gli orari e le esigenze di studio o lavoro. Perché un simile servizio, che è già una realtà concreta nei campus universitari americani, non è stato adottato come regola anche nelle università italiane ([5])?? Possibile che nei grandi poli universitari italiani, frequentati da migliaia e migliaia di studenti, non sia mai sorta l’esigenza di predisporre un’area interna per il servizio di baby sitter ai figli degli studenti iscritti?

E, si badi bene, tale misura concreta va a vantaggio non solo delle madri, ma anche dei padri, e quindi va proprio a realizzare quella reale parità tra i sessi che è l’oggetto della nostra indagine odierna.

Ma fintantoché ci si limiterà ad intendere la parità come un concetto a cui dare attuazione solo sul piano teorico non si raggiungerà mai, sul piano sostanziale, un vero equilibrio tra le posizioni degli uomini e quelle delle donne.

Sebbene sia molto cambiata la mentalità maschile ed i giovani uomini italiani sono oggi senza dubbio più attenti alle esigenze domestiche di quanto non lo siano mai stati i nostri padri o i nostri nonni, la condizione di (potenziale) maternità della donna finisce sempre col “pesare” sulle opportunità concesse alle appartenenti al genere femminile.

Un altro esempio in questo senso, guardando al mondo lavorativo.

E’ noto che esistono molte norme che impediscono le discriminazioni di sesso sul posto di lavoro (legge 903/1977), e che anche le offerte di lavoro devono essere indistintamente rivolte a uomini ovvero a donne.

Ma si può davvero affermare che – a parità di requisiti e professionalità – le donne hanno le medesime chance di essere assunte di un uomo??

No, certo che no, e questo un po’ in quasi tutti i settori lavorativi, dato che in tutti gli ambiti professionali “pesa” il fattore maternità e, conseguentemente, il fattore famiglia.

Sopratutto, in questo contesto di crisi economica è assolutamente irrealistico pensare che un datore di lavoro, al momento di decidere chi assumere, di fronte ad un uomo di una qualunque età e ad una donna in età fertile, non si ponga in relazione a quest’ultima la domanda: “Cosa faccio se poi resta incinta?”.

E’ un interrogativo comprensibile, e non necessariamente giustificato da volontà discriminatorie: si sa infatti che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere una parte del congedo di maternità (di norma il 20%) e deve inoltre anticipare l’intera indennità di maternità, senza poi contare che deve corrispondere in aggiunta anche il trattamento salariale al lavoratore assunto in sostituzione della gestante. Realisticamente, si tratta di maggiori costi che non sempre gli imprenditori sono in grado di sostenere, soprattutto nell’attuale congiuntura economica, ragion per cui è plausibile pensare che in sede di assunzione molti si guarderanno bene dal preferire una donna, non tanto perché mossi da intenti discriminatori, quanto perché costretti a valutare le conseguenze economiche delle loro scelte

[1]
[1] Pietro Germi, 1961, Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli (art. 587 c.p.
[2]
[2] Introdotta come materia scolastica da Aldo Moro nel 1958 ed abolita (purtroppo) nel 1990-91.
[3]
[3] Art. 36 co. 1 “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
[4]
[4] Lo sapevano bene gli antichi romani, che ci hanno tramandato il detto “Summum ius, summa iniura”, come a dire che anche la regola più corretta deve essere calata nel caso concreto, altrimenti rischia di diventare sommamente ingiusta.
[5]
[5] In Italia si contano sulle dita di una mano le università che offrono un servizio di nido interno, ad esempio l’Università Bicocca di Milano.

 

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Caterina Condoluci

Caterina Condoluci vive da oltre trent’anni nel Veneto, dove ha esercitato per lungo tempo la professione di docente di italiano e storia. Appassionata d’arte e di letteratura, attualmente si dedica alla scrittura come testimonianza di vita.

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