Bambini, mascherine, scuola…

Sabato mattina, ore 10,30.

Ero senza formaggio, farina, il pane, l’avrei fatto l’indomani….

Mi sono recata a far la spesa vicino casa, a piedi.

In negozio eravamo in tre: io, un giovane signore dal viso gioviale e la sua bambina di circa cinque anni, con la mascherina, come noi. Lei mi guardava, mi fissava, con gli occhietti che si affacciavano dai capelli castani, arruffati; mi sono chiesta se si era accorta del mio sorriso, perché è rimasta immobile, senza nessuna reazione, mi scrutava, però con lo sguardo sfuggente, ininterrottamente. Aveva occhi curiosi ma malinconici.

Era la prima volta che vedevo una bambina con la mascherina, non è stato piacevole. Fuori, vicino casa, un altro papà con la mascherina, teneva per mano, camminando, la sua bambina con la mascherina. L’ho riconosciuta, in un passato recente la vedevo saltare tra lo scivolo e l’altalena e correre gioiosa nel campo giochi lì vicino assieme ad altri bambini. Chiuso. Una striscia di plastica assieme ad un foglio, un’ordinanza istituzionale, ne vieta l’ingresso, causa Coronavirus.

Solo da qualche giorno si vedono di tanto in tanto bambini fuori, episodi sporadici, credo siano quelli che abitano in appartamento, lo deduco dal viso sofferto e pallido e dalla poca dimestichezza a star fuori, come disorientati; forse non riconoscono quell’ambiente vuoto che risuona ostile, come se un fantasma stesse in agguato, pronto ad uscire e ad assalire all’improvviso senza farsi vedere. E questo lo hanno capito, dalla paura di chi li circonda, eh si, la paura è più contagiosa dello stesso virus.

Mi chiedo cos’altro ruberemo ai bambini oltre ad averli privati di un ambiente sano in cui vivere il loro domani.

Ed ora sono tutti a casa, necessariamente, con i genitori a goderseli si, questo si, finalmente in tranquillità, ma senza scuola, senza amici, senza nonni, senza la vita di prima e senza alcuna certezza per il futuro.

I bambini.

Ed ora si parla di riaprire le scuole. Certo non potranno stare sempre chiusi in casa, dovranno anche loro ritornare alla vita.

Ma a quali condizioni?

In questi giorni vengono descritti scenari paradossali, ipotesi per un rientro in società, con mascherine, rispettando le distanze tra loro, escluso qualsiasi contatto fisico.

E qui ho scelto di scrivere soprattutto dei più piccoli, ma il discorso vale per tutti gli studenti.

Immagino già gli adolescenti nel pieno della loro esplosione ormonale trasgredire le regole, spinti da una forza, quella della vita, per loro più forte della paura del virus.

Imporre tali regole, inoltre, seppur razionalmente necessarie in questo momento di emergenza, significa educare alla diffidenza, alla paura, alla solitudine, al distacco dall’altro.

Chi ha lavorato tra i banchi di scuola sa quanto gli insegnanti investono nella socializzazione, nelle relazioni positive, promuovendo il contatto con i propri simili, nello sviluppo della creatività umana, nel rapporto tra gli alunni in classe e nella scuola, nei giochi, nelle attività, nel teatro, nelle uscite, momenti fondamentali per la crescita della loro personalità e per vivere con stabilità. Stare liberamente con i coetanei, ma senza assurde limitazioni, li aiuta a riconoscere con consapevolezza le loro emozioni, farle venire in superficie e viverle con equilibrio.

Certo oggi ci sono emergenze e cambiamenti in atto per cui bisognerà formare gli studenti nella comprensione e nella preparazione adeguata delle necessarie mutazioni, ma che ciò non avvenga con restrizioni tali da compromettere seriamente il loro essere persone di domani, con il rischio, invece, di plasmare automi addottrinati e pronti a continuare ad obbedire alle continue emergenze.

Bisognerà cercare e trovare soluzioni adeguate alla riapertura delle scuole, quando l’emergenza pandemia lo permetterà.

Se si ha veramente a cuore l’avvenire dei giovani, perché non occuparsi, contemporaneamente, dell’emergenza sanitaria e di quella ambientale?

Si dimostrerebbe, finalmente, di avere veramente a cuore il loro futuro.

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Caterina Condoluci

Caterina Condoluci vive da oltre trent’anni nel Veneto, dove ha esercitato per lungo tempo la professione di docente di italiano e storia. Appassionata d’arte e di letteratura, attualmente si dedica alla scrittura come testimonianza di vita.

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