MARIA FREGA DIALOGA con CATERINA CONDOLUCI su “UOMINI E DONNE OLTRE LA SIEPE”  

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Maria Frega

 

– Margherita è la protagonista di un romanzo affollato di persone: famiglie, soprattutto, tanti bambini, ma anche individui colti nel loro momento di scoperta della solitudine, di scoperta di una debolezza che potrebbe cambiare il corso prestabilito delle loro vite. Con discrezione e affabilità, la protagonista, Margherita, scopre questi momenti critici e, grazie al suo carattere, accoglie le storie che si svolgono oltre la siepe del suo giardino.

C’è una componente autobiografica, non solo caratteriale ma che svela la curiosità, mai morbosa, di comprendere il mondo intorno, senza rinchiudersi.

Caterina Condoluci

Il libro è nato mentre organizzavo alcune conferenze sul divenire della nuova comunità, uomini e donne, ma da sempre sono interessata all’evoluzione della società.

La mia narrazione parte sempre da un’esperienza personale, da racconti di persone, da osservazione e analisi della realtà. Attraverso il racconto amo mostrare un certo tipo di esperienza per farmi domande e spingere il lettore a farsene, che riguardano la vita e le sensazioni più intime della persona, che passano attraverso la solitudine.

La siepe è fisica ma è anche, naturalmente, una metafora. Essa, però, non vuole essere un muro, una forma di chiusura, sbarramento che priva di ogni rapporto col mondo esterno.

Maria Frega

– In occasione dell’8 marzo, una riflessione sulle donne del romanzo. Non solo eroine, ma anche esseri umani che sbagliano (sacrificando la famiglia per la carriera, per esempio, o sfogando rabbia e violenza verso chi li ama), che subiscono l’incertezza di un mondo che stravolge i soliti ruoli classici e accomodanti. Così, anche alcuni uomini scelgono consapevolmente di rinnovarsi, diventando “mammi”, come nel capitolo omonimo.

Parte di queste “rivoluzioni” dipendono anche dal lavoro, che spesso non c’è – nemmeno nell’operoso Nord-Est che fa da sfondo al romanzo.

Caterina Condoluci

Già un anno fa, proprio l’8 marzo, ho esposto le mie riflessioni che partivano da considerazioni dopo aver visto un balletto con la coreografia di Pina Bausch, tratto dal valzer di Sostakovich, che mi aveva spinto alle attuali riflessioni sull’uomo e sulla donna.

Nel balletto i ballerini, maschi e femmine, interpretavano il valzer, ritenuto notoriamente una danza appassionata, non abbracciati ma posti in due file parallele: gli uomini da una parte, le donne dall’altra rimanevano separati fino alla fine. Entrambi si muovevano in modo sensuale, ma non s’incontravano mai.

Ognuno appariva autosufficiente e non faceva trapelare minimamente il bisogno dell’altro/a.

Non c’era incontro, comunione, ma, solamente, due belle, sensuali, ambiziose solitudini.

Allora ho deciso di scrivere storie che riguardassero uomini e donne nella loro fragilità nella ricerca di un nuovo equilibrio, nella società contemporanea così incerta e mutevole.

Il lavoro, attraverso storie di donne, viene presentato nel libro nelle sue varie sfaccettature e spesso dai risvolti dolorosi. Oggi assistiamo a una mutazione profonda nel lavoro, come risulta anche dai tuoi libri. Le fabbriche continuano a svuotarsi o a spostarsi. Non basta la laurea, il master, il dottorato, la specializzazione e la bravura per garantire un’occupazione. Spesso bisogna muoversi ripetutamente in Italia e all’estero e, magari, ritrovarsi disoccupati dopo una serie numerosa di conquiste e di competenze. In quest’incertezza serve un costante aggiornamento per riuscire ad avere nuove idee ed essere competitivi. Ma, spesso, dopo anni di studio e di esperienze non si riesce ad avere un lavoro che permetta un’autonomia dignitosa.

E le donne pagano un prezzo salato per una situazione così incerta e fluttuante: la loro vita affettiva. Arrivano sempre più spesso a quarant’anni senza essere riusciti a fermarsi per realizzarsi come madri, devono ancora scegliere tra lavoro, cioè dignità o maternità.

Tutto ciò è molto doloroso.

Credo che dobbiamo chiederci, tutti, che tipo di società stiamo costruendo.

Non mancano nel libro esempi positivi, come il capitolo del Mammo, che vuole mostrare come la creatività e l’Amore nelle scelte di vita possano risolvere problemi apparentemente senza via d’uscita.

 

Maria Frega

 

– Ancora le donne, per evidenziare come ognuna delle protagoniste del romanzo ha un nome che comincia con la lettera M. Un vezzo? Un omaggio alla figura della madre, della mamma?

 

Caterina Condoluci

 

Tutte le donne delle storie del libro, in effetti, hanno nome che inizia con la lettera M, compresa la donna musulmana.

E’ stata una mia scelta, naturalmente, ed è ricca di significati e di simboli. Uno fra tutti: ho voluto, in verità, accomunare le donne con qualcosa di tangibile, il nome, per significare, anche, la complessità dell’essere donna. In realtà ogni donna che racconto ha qualcosa delle altre donne che la completa.

Mi piacerebbe che il lettore trovasse gli altri simboli leggendo il libro.

 

Maria Frega

 

– E le bambine?

Mi ha colpito moltissimo un episodio che apre il romanzo, ambientato in una località calabrese di decenni fa, quando, in mancanza di una biblioteca e di una libreria, Margherita aveva “fondato” con le amichette di scuola un circolo di lettura, una micro biblioteca, per far circolare i titoli acquistati da un ambulante.

Come accade a molti, dalla lettura appassionata nasce la voglia di scrivere, di andare oltre le storie stampate con le nostre finalmente messe nero su bianco.

Caterina Condoluci

Sì, Margherita sin da piccola leggeva appassionatamente tutto ciò che trovava. Nessuno la consigliava o la aiutava a scegliere. Aveva una curiosità innata per i libri. Era inevitabile che crescendo scrivesse pure lei.

Maria Frega

– Oltre la classica famiglia

Nella villetta di fronte a quella di Margherita non capitano soltanto famiglie borghesi, ma spesso essa diventa luogo di raccolta per chi è in difficoltà. Migranti, adolescenti problematici, famiglie in dissesto. L’esperienza dell’autrice che ha fondato e diretto un’associazione a sfondo sociale e l’attenzione per le criticità dell’educazione e della formazione hanno sicuramente contato qualcosa nella scelta dei temi e dell’attenzione da dare.

Caterina Condoluci

Sono un ex docente da sempre attenta ai giovani e alle loro problematiche. Nel libro racconto, in particolare, la fragilità degli adolescenti nella nostra società e cerco di dare delle chiavi di lettura ai loro comportamenti, alle loro inquietudini, alla loro ricerca forsennata di falsi miti, che addormentano le coscienze e privano della capacità critica molti di loro.

Racconto, in realtà ciò che ascolto, osservo o vivo e spesso sono situazioni drammatiche della nostra società, ma lascio sempre uno spiraglio a un’evoluzione o a un cambiamento positivo.

Maria Frega

Lungi da essere un memoriale, un diario di ricordi, il romanzo di Caterina Condoluci accoglie e comprende le storie di un mondo in trasformazione che, talvolta, addirittura “si rovescia”. E’ un racconto delicato ma che va in profondità; che spesso offre delle soluzioni, risposte ma mai le forza.

E’ evidente che ognuna delle storie raccontate è viva, ha vissuto nei racconti che spontaneamente si sono svelati all’autrice che si è messa in ascolto. Che non è rimasta trincerata dietro la siepe.

Caterina Condoluci

Sì, il mio può apparire un linguaggio prudente nell’affrontare argomenti scottanti. Non ritengo, in effetti, convincente un linguaggio aggressivo da cui, peraltro, siamo letteralmente invasi. Non amo le sensazioni forti e gratuite. Non mi riconosco, però, nella celebrazione del lessico ipocrita di molti scrittori attuali.

In realtà scrivo cercando di essere me stessa.

Maria Frega

Ogni capitolo del romanzo dialoga con opere d’arte – disegni, sculture, dipinti di Dino Nicoletti – e con versi dalle poesie di Alberto Cellotto. Da notare anche la bella prefazione di Cristina Rocchi che introduce l’elemento della mitologia.

Il romanzo così si mette in movimento, si apre al mondo reale e della fantasia, ancora più ricco e arricchito.

Caterina Condoluci

Amo servirmi dei simboli, poesia arte, musica, per completare la mia comunicazione narrativa, in questo modo provo e provoco più emozioni. Quando parlo di emozioni, però, non intendo sensazioni, quelli cui siamo costantemente soggetti attraverso stimoli incessanti della tecnologia contemporanea, che, alla fine, sono consumismo vero e proprio, bensì quelle che sfociano poi nei sentimenti e, che, quindi, spingendoci a pensare, rimangono dentro di noi, facendo parte di noi stessi.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Caterina Condoluci

Caterina Condoluci vive da oltre trent’anni nel Veneto, dove ha esercitato per lungo tempo la professione di docente di italiano e storia. Appassionata d’arte e di letteratura, attualmente si dedica alla scrittura come testimonianza di vita.

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