Una giornata indimenticabile

Ricordate Teresa, la protagonista di Una vita al femminile? Ebbene ricompare ora in un mio nuovo racconto tra passato e presente.

Eccolo!

Buona Lettura!

 

 

Una giornata indimenticabile

 Mi piace partecipare ai matrimoni, perché sono ormai una rarità ma, anche, perché si respira aria di festa, promesse di un futuro di condivisione e amore, gioia di vivere.

Almeno quel giorno.

Perciò mi recai volentieri alla cerimonia e al lussuoso rinfresco di Maria Teresa, la figlia ormai trentenne di un’amica. Terminato il rito nuziale, io e gli invitati, in silenzio ordinato, eravamo intenti a far onore al ricco buffet degli antipasti che anticipava un lungo pranzo, gustoso e abbondante, quando notai, seduta in disparte, una signora molto anziana che riconobbi, nonostante fosse invecchiata tanto: era Teresa, la nonna della sposa. Aveva i bianchi capelli raccolti ordinatamente e sapientemente sulla nuca. Indossava un tailleur blu con la gonna sotto il ginocchio, sobrio ma di taglio elegante, con un giglio in seta rosa fucsia sul risvolto di sinistra della giacca, una camicetta dal collo ampio, anch’essa di seta della stessa tinta, che io sapevo essere il colore preferito di Maria Teresa. I tre bottoni della giacca erano semplici, però raffinati e la loro lavorazione richiamava il filo di perle che portava al collo, della stessa fattura degli orecchini un po’ pendenti. Scarpe chiuse ma scollate, di pelle blu, basse e comode con un sospetto di punta, completavano il suo abbigliamento.

Guardava incantata la nipote con il suo prezioso abito di pizzo beige dal lungo strascico, che teneva in parte appoggiato al braccio sinistro, e muoveva lentamente le labbra e la testa, come se canticchiasse. Mi avvicinai con discrezione, sorseggiando un prosecco. Mi fermai un po’ distante da lei, quanto bastava per ascoltare il suono e le parole che uscivano dalle sue labbra:

“…Contadinella tu sei una stella

Dammi la rosa, dammi la rosa

 

Contadinella tu sei una stella, dammi la rosa del tuo giardin.

…”

Stava canticchiando a bassa voce una canzone che, dedussi, le ricordava la sua giovinezza.

Decisi che dovevo assolutamente salutarla. Mi avvicinai. Mi riconobbe a stento, ma era contenta di parlare un po’ con me.

Le chiesi se qualcosa la turbasse, visto che aveva un’aria pensierosa anche se alleggerita da un tenero sorriso. Era lì, in effetti, ma distante nello stesso tempo.

“Mi sono lasciata rapire dai ricordi del mio matrimonio così diverso da questo di mia nipote…al pensiero ancora mi emoziono…”, affermò.

Le dissi che l’avrei ascoltata volentieri e mi sedetti vicino a lei, dopo aver preso dal vassoio del cameriere che in quel momento passava vicino a noi due bicchieri di prosecco e un piattino di antipasti, che l’anziana donna apprezzò.

Si aprì a un sorriso dolce e misterioso e, quindi, iniziò a raccontarmi del suo grande giorno, mai dimenticato.

Teresa era stata più fortunata della sorella Maria, la quale aveva perso l’innamorato, che faceva parte del Corpo di Spedizione Italiano in Russia, durante una cruenta battaglia nel 1941. Non lo rivide più, né i famigliari ebbero il suo corpo in Italia per seppellirlo.

Eppure le due sorelle, rivolgendosi alla Madonna, avevano pregato tanto per la vita dei fidanzati:

Salve Regina, 
mater misericordiae,
vita, dulcedo et spes nostra,
salve.
Ad te clamamus,
exules filii Evaae,
ad Te suspiramus,
gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eia ergo, advocata nostra,
illos tuos misericordes oculos
ad nos converte.
Et Jesum ,
benedictum fructum ventris tui,
nobis post hoc exlium ostende.
O clemens. o pia, o dulcis
Virgo Maria.

Il fidanzato di Teresa, dopo lunga e trepidante attesa dovuta a una guerra sanguinosa e logorante, era tornato a casa, ferito ma salvo.

Ricordava ancora nitidamente il giorno del ritorno: stava dando da mangiare ai conigli quando il suo cane, un bastardino nero solitamente tranquillo, incominciò ad abbaiare insistentemente. Teresa si girò di scatto verso il cancello e per poco non svenne dalla sorpresa e dalla gioia nel ritrovarsi davanti a sé Piero, il suo innamorato, dato per disperso. Aveva la barba lunga, il braccio destro fasciato, il viso sofferente ed era dimagrito ma era vivo ed era tornato! Corse e lo strinse a sé in un abbraccio senza fine.

Terminata la convalescenza di alcuni mesi, l’uomo rinnovò formalmente la richiesta di matrimonio a lei e ai suoi genitori, per iniziare i preparativi. A dire il vero era tutto pronto da un pezzo, poiché la data era stata fissata in precedenza per il maggio del 1940, quando i due conducevano ancora una vita normale e dignitosa. Poi l’esplosione della guerra stravolse le loro vite e costrinse lui a lasciarla per andare in Sardegna, dove era stato destinato a combattere.

“Per cosa?” si chiedeva l’uomo nella sua semplicità, “Per chi? Non capisco. La mia paura diventerebbe coraggio se avesse una motivazione plausibile. Chi o cosa devo difendere se non assecondare l’ambizione del folle potere? È terribile andare a uccidere per non morire e non capire il perché! Fino a quando i potenti decideranno arbitrariamente la sorte della povera gente ?”, queste le sue riflessioni.

Egli era un uomo concreto e le sue decisioni poggiavano sempre su pensieri profondi che riguardavano la pura essenzialità per il benessere delle persone e della natura. “Andare ad alimentare le distruzioni, io?! Perché?” continuava a chiedersi senza trovare alcuna risposta se non quella della pazzia di pochi, responsabili del destino e della morte di troppi.

I due innamorati avevano dovuto, quindi, rimandare la cerimonia nuziale. La mamma della giovane, allora, aveva riposto in una cassapanca, con della naftalina, le lenzuola per la prima notte e la biancheria: era il corredo per la vita che i due giovani avrebbero condotto assieme in futuro.

Teresa era felice di aver nuovamente con sé Piero, anche se era molto cambiato. Possedeva, infatti, prima di andare a combattere, un fare scherzoso e un’ironia particolare, che coinvolgeva chi gli stava accanto, suscitando ilarità e spensieratezza, che lei non gli vide mai più. Le brutture della guerra, l’aver visto tante volte in faccia la morte, l’aver assistito amici e compagni di giochi negli ultimi momenti di vita, l’aver vissuto violenze e prepotenze gratuite, lo avevano privato della giovinezza. Non sorrideva più. Sembrava improvvisamente invecchiato. Amava Teresa, però, ed era ancora più determinato a metter su casa con lei.

Quante volte il ricordo e le lettere dell’amata lo avevano aiutato a non mollare e lo avevano fatto desistere dal porre fine alla vita nei momenti di disperazione! Per lui lei e il suo amore erano un’ancora di salvezza. Era lei che manteneva viva in lui la speranza, il motivo principale per continuare a vivere, per dare un valore al futuro che era troppo difficile riuscire a immaginare tra i combattimenti.

Teresa, rivedendolo, aveva subito capito che il fidanzato non aveva riportato ferite solo fisiche, che i fatti vissuti gli avevano toccato profondamente l’animo, ma entrambi erano molto giovani e lei sperava che la sua devozione e l’amore riuscissero nuovamente a fargli amare la vita.

Si predispose, quindi, supportata dalla madre e, in misura diversa dal padre, ai preparativi. La sua gioia per aver ritrovato Piero e per i preparativi delle nozze era offuscata dalla sofferenza della sorella per aver perso il suo amato. A questo, purtroppo, non c’era più alcun rimedio. Sperava solo che il tempo la aiutasse a ritrovare la serenità e, quindi, che riprendesse a vivere. Ma Maria aveva già deciso: avrebbe vissuto nel  ricordo, rimanendo sola, scelta che condivideva con molte giovani coetanee che avevano perso il fidanzato in guerra.

La madre riuscì, nonostante le difficoltà economiche del dopoguerra, a farle cucire da una parente sarta, un vestito da sposa per le nozze. Ciò in quei tempi di miseria era un privilegio; molte giovani, infatti, utilizzavano per la cerimonia nuziale l’abito da sposa della madre, rinfrescato e con qualche modifica se necessaria, oppure se lo passavano usato tra coetanee. Teresa era contenta e orgogliosa del suo vestito e, in seguito, se lo portò nella sua nuova abitazione e ne ebbe cura per tutta la vita.

Era un abito bianco lungo, dritto, per risparmiare tessuto, realizzato con una stoffa modesta che la mamma aveva messo da parte da tanto tempo, nella speranza di farne uso, alla fine, per le figlie. Era un vestito da sposa semplice che copriva con naturalezza e sembrava accarezzare il corpo esile di Teresa. La giovane era felice, nonostante tutto: quell’abito era suo e coronava il sogno di una vita. Una veletta copriva i capelli sciolti, fermati da una molletta e un fiore di campo bianco con l’aiuto della madre e della sorella.

Certo non era così che da ragazza aveva immaginato il giorno più bello della sua esistenza, perciò era contenta, ma non radiosa. Troppe persone care mancavano in chiesa, morti o dispersi, ed era impossibile non pensare a loro. Le atrocità della guerra erano ancora vicine, ma la vita era più forte e il loro matrimonio ne era una conferma.

L’espressione dei due giovani durante la cerimonia era decisa e pacata. Erano convinti di unirsi in matrimonio, anche se ancora si sentivano dei sopravvissuti rispetto a tanti altri più sfortunati di loro.

Erano determinati, però, a mettere su casa, avere dei figli, educarli secondo le indicazioni della loro religione e creare, quindi, una famiglia, come prima di loro avevano realizzato i genitori.

Dopo il rito in chiesa, gli sposi e i parenti stretti si recarono nella casa del padre della sposa, dove, in realtà viveva gran parte dei parenti e dove era stato preparato un rinfresco. Fuori, nell’aia, era stato sistemato un tavolo che accoglieva i pochi invitati: gli amici intimi e i parenti stretti.

Era una giornata di maggio, il sole splendeva, i partecipanti sorseggiavano vino rosso accompagnando le vivande, cibi semplici e poveri ma gustosi, tipici della campagna circostante. Dalla grande cucina della casa di campagna provenivano odori invitanti di arrosti di pollo, anatra e oca cucinati dalle donne.

Intorno galli, galline, anatre e oche si muovevano liberamente, creando una scenografia particolare alla festa. Si sentivano un po’ più lontani, provenire dalle stalle, i versi, rassicuranti nella loro vitalità, delle mucche e degli asini.

La sorella non riuscì ad atteggiare le labbra a un sorriso per tutta la giornata, nonostante fosse buona d’animo, le volesse molto bene e fosse contenta per lei.

C’era nell’aria una malinconica e avvolgente dolcezza, che caratterizzava quella giornata di gioia. Il matrimonio, senza musica, in realtà, rischiava di sfociare nella tristezza, quando, improvvisamente, un giovane cugino, pazzerello e intraprendente, tirò fuori a sorpresa una fisarmonica che aveva tenuto nascosto e si mise a suonare e a cantare atteggiandosi a “buffone”:

“…Contadinella tu sei una stella

Dammi la rosa, dammi la rosa

 

Contadinella tu sei una stella, dammi la rosa del tuo giardin.

Non posso dartela perché l’è un bel fiore

Sarìa un disonore, sarìa un disonore

…”

Assieme a lui un altro giovane, suo amico, strimpellava un’armonica a bocca, per rubare un po’ di contentezza ai partecipanti al banchetto. E assieme ci riuscirono! Dopo un inizio incerto, il padre della sposa levò alto il bicchiere per un brindisi, poi andò da lei, le afferrò affettuosamente il braccio e le disse: “Non puoi negare un ballo a tuo padre in questo giorno così gioioso e importante! E voialtri giovani e meno giovani, cosa aspettate?…Oggi si canta e si balla per la mia Teresa!”.

E così aprì le danze!

Gli altri invitati seguirono il suo esempio, trascinando festosamente le loro donne nell’aia trasformatasi in quel momento in sala da ballo. Anche i bambini li seguirono, improvvisando disordinatamente ma vivacemente balli e canti.

Il matrimonio, quindi, assunse, finalmente, un carattere festoso, in un canto unanime, come doveva essere:

“…Contadinella tu sei una stella

Dammi la rosa, dammi la rosa

 

Contadinella tu sei una stella, dammi la rosa del tuo giardin.

…”

e il ricordo piacevole si fissò nella mente degli sposi e di tutti i presenti.

 

Teresa, alla fine del racconto, mostrava un sorriso che mi sembrò raggiante, come se il ricordo delle sue nozze le avesse riportato una nuova gioia.

Mi porse il braccio: “Margherita, non ti sembra che ci sia troppo silenzio? E’ un matrimonio questo o no?!”, affermò decisa.  Si appoggiò a me, chiedendomi di accompagnarla dagli sposi. Lo feci, sorreggendola, poiché i suoi passi erano incerti. Raggiunse i giovani e, facendosi portare un bicchiere di prosecco da un cameriere, invitò a un brindisi: “Alla vita, alla gioia, al futuro!”, disse radiosa, abbracciando affettuosamente la nipote e, poi, il marito. Aggiunse, quindi, invitante e festosa, rivolgendosi a tutti: “Non vi sembra ora di aprire le danze?”.

Fu allora che il complesso musicale presente nella sala iniziò a suonare,  al via dell’anziana signora.

E anche questa volta, fu un brindisi ad aprire le danze!

Teresa tornò a sedersi lentamente ma soddisfatta, canticchiando tra sé:

“…Contadinella tu sei una stella

Dammi la rosa, dammi la rosa

 

Contadinella tu sei una stella, dammi la rosa del tuo giardin.

…”

Fu allora che lo sposo la raggiunse e, chinandosi in un inchino scherzoso e affettuoso, chiese alla nonna di concedergli un ballo. Teresa irruppe in una fragorosa e divertita risata e rispose: ”Mi piacerebbe, eh, se mi piacerebbe ballare…”.

E sorridendo lo lasciò nelle braccia della giovane moglie.

(Continua)

 

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Caterina Condoluci

Caterina Condoluci vive da oltre trent’anni nel Veneto, dove ha esercitato per lungo tempo la professione di docente di italiano e storia. Appassionata d’arte e di letteratura, attualmente si dedica alla scrittura come testimonianza di vita.

2 Comments

  1. Mi sono piaciute queste pagine, che penso siano l’incipit di una tua nuova produzione.
    Ricordare il passato, le forme di vita ed i problemi affrontati dalle generazioni precedenti sarebbe indispensabile per i giovani, che sono lontanissimi da quella realtà, e spesso sembra abbiano poca curiosità per quel mondo
    .Come sempre la prosa trasmette la tua sensibilità

    • Mi fa piacere, Daniela, che “Una giornata indimenticabile” ti sia piaciuta. E’, in realtà, parte di un racconto ed è compreso in una serie di racconti che saranno pubblicati. Se mi segui, avrai notato che anticipo sempre qualcosa delle mie pubblicazioni. Mi piace, in questo modo, interagire con i lettori.
      Nella mia narrazione, in effetti, non trascuro mai la memoria del vissuto, anzi del ricordo, poiché nel ricordo riaffiorano i sentimenti che, a mio avviso, ci spingono a pensare.
      Ti ringrazio per la tua attenzione
      Caterina

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