Riflessioni per l’8 marzo

IMG-20160219-WA0001 (1)L’8 marzo è la giornata internazionale della donna o, come comunemente si dice “la festa della donna”.

Dal 1909, negli Stati Uniti, dal 1911 in alcuni Paesi europei e in Italia dal 1922, iniziò la ricorrenza di tale festa.

Perché? Per ricordare i successi delle lotte, ma anche le emarginazioni e le sopraffazioni, cui le donne sono da sempre vittime, per non dimenticare.

La mimosa, che caratterizza la festa, comparve per la prima volta l’8 marzo 1946, finché nel 1970 apparve il movimento femminista. Rimane storico l’8 marzo 1972, quando a Roma in Piazza Campo de’Fiori partecipò alla manifestazione organizzata dalle donne, Jane Fonda, pronunciando un discorso d’adesione al Movimento.

In quella circostanza apparvero per la prima volta cartelloni con scritte ritenute dallo Stato e dalla Chiesa scandalose: “Legalizzare l’aborto”, “Liberalizzazione sessuale”, “Liberazione omosessuale”.

Allora la polizia usò i manganelli contro le manifestanti e le disperse.

La festa della donna ha ancora un senso, quindi: per non cadere nell’oblio, perché, come scrisse Miriam Mafai, le conquiste femminili sono troppo recenti, perciò si rischia di perderle e tornare indietro.

Brucia ancora il ricordo del passato (ma ancora realtà in alcuni paesi) quando per le crisi e le epidemie venivano incolpate le donne e perciò orrendamente punite.

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Forse, però, è giunto il momento di un’ulteriore riflessione su tale argomento.

 

 

 

C’è, ormai, a mio avviso, un abuso della parola “donna”: maltrattamenti sulla donna, violenza della donna, donna e lavoro, pari opportunità per la donna, … che spesso rimangono parole che ornano le numerose conferenze o dibattiti, come dei soliloqui. Solo nella nostra città, non c’è un mese in cui non si organizza al femminile, vuoi da enti istituzionali, o da librerie, oppure da associazioni.

Spesso, ahimé, il risultato è allontanare le giovani generazioni dal femminismo, come un movimento di cui vergognarsi, anche perché non sono adeguatamente informate.

Così la donna deve sempre aspettare che le sia concessa la parità, ponendosi, quindi, in un atteggiamento pur sempre subalterno, come se lei procedesse da sola nell’avventura della vita. Quando, addirittura, non diventa aggressiva, annullando le sue caratteristiche femminili per gareggiare con l’uomo, dimenticando il suo essere più profondo.

Eppure la donna non ha niente da dimostrare. Basta ricordare il ruolo ricoperto nella seconda guerra mondiale nel lavoro, nell’educazione e nel sostentamento dei figli, nell’imprenditoria, nelle università, mentre l’uomo era intento, spesso suo malgrado, a morire, ad uccidere, a distruggere.

In tale situazione fu la donna, non dimentichiamolo, a permettere che, finita la guerra, si potesse continuare a vivere. 

A che punto è in Italia la trasformazione dei ruoli?

Uoma, Donno”, recitava provocatoriamente un giornale femminile qualche anno fa.

Fu un balletto con la coreografia di Pina Bausch, tratto dal valzer di Sostakovich, che mi spinse alle attuali riflessioni sull’uomo e sulla donna.

Nel balletto i ballerini, maschi e femmine, interpretavano il valzer, ritenuto notoriamente una danza appassionata, non abbracciati, ma posti in due file parallele: gli uomini da una parte, le donne dall’altra rimanevano separati fino alla fine. Entrambi si muovevano in modo sensuale, ma non s’incontravano mai.

Ognuno appariva autosufficiente e non faceva trapelare minimamente il bisogno dell’altro/a.

Non c’era incontro, comunione, ma, solamente, due belle, sensuali, ambiziose solitudini.

Cosa sta accadendo? Cosa ci sta accadendo?

Mai come in questo momento viviamo l’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro. In tale situazione sembrerebbe ovvio coltivare il sentimento della condivisione per esorcizzare il senso di solitudine, d’impotenza e di paura che la nostra società contemporanea, instabile, “illegalmente planetaria”, sta partorendo, in un’era aperta e vulnerabile.

Di contro la solitudine che l’uomo e la donna attuali stanno coltivandosi ognuno nel proprio orticello, spinge a un atteggiamento difensivo verso l’altro e, per allontanare l’inquietudine e la paura, invece di aprirsi entrambi rafforzano un nuovo individualismo a scapito dei legami umani e della solidarietà, chiusi nella loro cecità.

E allora, in occasione dell’8 marzo, desidero soffermarmi su esempi concreti che possano indicare la strada per un nuovo umanesimo, dove si parla di donne e uomini socialmente uguali, in una società non utopistica ma reale, basata su un sistema di vita e di valori fondato sui rapporti tra persone.

Le mie riflessioni mi riportano in una società Preistorica, che in Europa si realizzò prima delle invasioni degli Indoeuropei tra il 4300 e 2800 a.c. che è riuscita a vivere a lungo in prosperità e in pace proprio perché egualitaria, in cui la donna aveva un ruolo fondamentale, poiché era considerata “creativa e attiva e né la femmina né il maschio erano subordinati l’una all’altro…Il concetto di diversità sessuale non significava né inferiorità né superiorità… Vi era, quindi, l’uguaglianza tra i sessi che compartecipavano alla dinamica del flusso vitale percepito nelle forze della natura, raggiungendo, così, la parità dei sessi-socialmente”. (V. “Le Trame della Grande Dea”di Terenzio del Grosso).

Cosa possiamo imparare da quella società? Quale nuova umanità c’è dato costruire?

 

 

 

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Caterina Condoluci

Caterina Condoluci vive da oltre trent’anni nel Veneto, dove ha esercitato per lungo tempo la professione di docente di italiano e storia. Appassionata d’arte e di letteratura, attualmente si dedica alla scrittura come testimonianza di vita.

2 Comments

  1. Bella riflessione… Come sempre profonda e documentata, su un argomento che ormai ci scivola addosso senza avere più la consapevolezza di quante lotte abbiano fatto le donne per ottenere dei diritti basilari… Brava Caterina!!!!!

  2. Sono d’accordo con te. Le giovani generazioni devono essere informate e consapevoli che le libertà di cui godono non sono nate dal nulla, ma sono il risultato di tanto coraggio e lotte di numerose donne, le quali in alcuni casi hanno donato la loro vita alla realizzazione di un mondo più giusto.

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